La pratica progettuale

“L’architetto non ha interesse a impostare un rapporto reale (intendo di coscienza reale, di confronto con l’altro), poiché ogni relazione consapevole è una minaccia che può smentire la sua opera. Egli non può riconoscere l’altro perché perderebbe il senso del proprio io: così circuisce il destinatario, lo lusinga, lo idealizza o lo avvolge di retorica.
La cultura dei rapporti appartiene invece alla donna perché ai rapporti si è sempre dedicata e sacrificata. Ma una cosa è vivere i rapporti, una cosa è avere la coscienza dei rapporti. Qui vedo la possibilità per la donna di inserirsi come presenza consapevole e operante: affermare la propria diversità nel modo di concepire l’oggetto, individuare i propri valori, invece di limitarsi a lasciare tracce nella storia, invece di celebrare genericamente la quotidianità.
Leggo così la grande assenza delle donne dall’architettura non come una mancanza da colmare, né come diversità da esaltare, bensì come espressione di una impossibilità di aderire a una prassi progettuale per lei estranea, che non realizza per sé desideri vitali. Per me è prioritario prendere coscienza del processo attraverso cui elaboro il progetto, in un ascolto attento dell’altro, in rapporto con l’altro. I rapporti danno coscienza dell’umanità, il femminismo è un incontro di coscienze verso una nuova consapevolezza, un senso della storia diverso.”
(ML 1982)