Autenticità e progetto

Qual è stato il contributo delle donne alla cultura del progetto nel XX secolo? Sul versante del riconoscimento professionale ha avuto, il più delle volte, una sorta di risarcimento tardivo, se non postumo. Tanto la storia delle donne che la riscoperta degli archivi di architettura e design risalgono alla metà degli anni ’70, ma i loro cammini si sono incrociati solo di recente e ancora tra mille difficoltà.

Così per Marta Lonzi (1938-2008), architetto ed esponente del tutto originale del femminismo italiano. Marta Lonzi infatti partecipa fin dagli inizi con la sorella Carla – esponente di spicco del femminismo in Italia, critica d’arte e scopritrice dell’avanguardia artistica degli anni ’60 – alla costituzione di Rivolta femminile (Roma 1970) e alla successiva creazione della omonima casa editrice a Milano nel 1971. Appassionata saggista ed editrice militante, è stata progettista sensibile a scala urbana, raffinata negli interni. Sostenitrice di un processo creativo non antitetico con il preesistente, propone un’architettura basata sulla consapevolezza e sulle relazioni. Una posizione per molti versi anticipatrice delle linee di ricerca contemporanee, che interessano non solo l’architettura: le sue riflessioni e proposte si inscrivono anche nel vasto orizzonte del pensiero femminista più contemporaneo.

In un denso percorso di riflessioni e pratiche che coinvolgono profondamente tanto la dimensione esistenziale quanto quella professionale, evidenzia come non l’oggettività, ma l’autenticità convalidi la proposizione elaborata dal progettista: “Questa valenza scardina… ogni espediente di rapporto sublimato con l’oggetto poiché impone un rapporto reale con l’oggetto ma prima di tutto un rapporto reale con se stessi”.

“Oggi, l’architetto è bloccato a uno stadio in cui egli è tutt’uno con ciò che elabora. Avendo fatto decadere il rapporto soggettivo, quindi consapevole, tra sé e l’oggetto, risiede immanente al progetto che presenta in termini oggettivi credendoli, illusoriamente, veritieri. Da questa spirale tautologica del progettare nasce il decadimento del processo e, quindi, dell’oggetto: non più architettura, ma cubatura; non più città a dimensione umana, ma periferia, cioè agglomerati privi di anima; non più integrità del territorio, ma frattura” (Autenticità e progetto, 2006).

Autenticità, dunque: parola chiave del lessico femminista che Marta, a oltre trentacinque anni dall’avvio dello scandaglio dell’autocoscienza, utilizza come cartina al tornasole per rileggere la storia dell’architettura alla ricerca di connotati etici. Ma si tratta di un processo espansivo dal soggetto alle sue pratiche che interessano ora l’intero corpo sociale. 

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