Far vibrare l’archivio
Dopo molti anni di silenzio, torna a risuonare il nome di Marta Lonzi...
Lo si era udito dapprima negli anni ’70, tra le voci del gruppo di Rivolta femminile: a quel tempo, certamente sovrastato dal folgorante pensiero della sorella Carla.
L’apparizione del libro L’architetto fuori di sé nel 1982 produce un’eco nuova, inteso com’era a suscitare interrogativi proprio a chi era coinvolto nel processo creativo. Il libro è il primo, tra quelli pubblicati dalla casa editrice Scritti di Rivolta Femminile, a ricevere recensioni: come i titoli pubblicati precedentemente nella presto mitica collana dei Libretti verdi, circola essenzialmente nei circuiti femministi, ma da qui trova la strada per raggiungere anche un pubblico disciplinare. Lo leggono anche gli architetti; per lo più all’estero.
Ci vorrà ancora un po’ perché possa essere riconosciuto il suo valore nella creazione fisica degli spazi e venga annoverata tra le figure italiane più stimolanti nel campo dell’architettura degli interni: grazie soprattutto all’intuito di Maria Bottero e Marco Romanelli, che le dedicano articoli e iniziative espositive.
Il paziente lavoro di “ricucitura” per la periferia romana di Pietralata, condotto lungo la seconda parte degli anni ’90 con i comitati di quartiere, difficilmente sopravanza le cronache locali dei quotidiani. Il suo percorso solitario, fatto di ricerca e di studio ostinato, era decisamente controcorrente. La pubblicazione di Autenticità e progetto (Jaca Book 2006), a suggello del suo rientro (dopo trent’anni) con un incarico d’insegnamento in una università italiana, passerà quasi inosservato.
Poi il silenzio, culminato con la sua scomparsa nel 2008.
Quasi vent’anni dopo, nel 2016, coinvolta nella mostra “Women in Italian Design” al Museo del Design della Triennale di Milano, ho pensato di riproporre all’attenzione del pubblico e degli studiosi questa figura decisamente atipica: Marta entrò in mostra con il lume progettato a quattro mani con Carla Accardi.
A partire da quella occasione è iniziata una operazione di messa a fuoco progressiva: il contatto con la famiglia, i ripetuti sopralluoghi in Chianti. In uno di questi, con la Presidente Marina Zancan, la decisione fondamentale di depositare l’archivio di Marta Lonzi alla Fondazione Elvira Badaracco.
Nel 2017 al Simposio internazionale al Politecnico di Torino Women’s Creativity since the Modern Movement (1918-2018). Toward a New Perception and Reception presentavo i primi risultati di quella indagine (“The Marta Lonzi archive: Subjectivity in the Creative Process”). In quell’occasione, in altra sessione, Marcella Tisi parlava anche di Marta nel suo contributo “The Feminine Sensibility in the Project of the Place 'Sustainable'”. Poco tempo prima, Chiara Belingardi, giovane ricercatrice romana, aveva pubblicato nell’e-book Città. Politiche dello spazio urbano (2016) per la Società delle filosofe IAPh un primo avvicinamento ai due testi chiave: “Marta Lonzi, L’architetto fuori di sé (1982) e Autenticità e progetto (2006)”. A seguito del simposio di Torino il suo nome veniva inserito tra le pioniere dell’architettura italiana nella Global Encyclopedia of Women in Architecture 1960-2015 (in corso di pubblicazione da Bloomsbury).
Nel 2019 la presentazione pubblica dell’archivio al Laboratorio Formentini per l’editoria, in cui siamo riuscite a coinvolgere persone che nel tempo l’avevano conosciuta e apprezzata: Paolo Berdini, Maria Bottero, Marco Romanelli hanno rievocato le occasioni comuni, mentre Claudia Mattogno collocava Marta nel contesto europeo delle donne architetto del secondo dopoguerra.
Nel 2021 in pieno lockdown, nell’ambito del V International Congress Architecture and Gender | ACTION. Feminisms and the spatialization of resistances, di nuovo un pubblico internazionale aveva potuto seguire la mia ricostruzione della conferenza berlinese di Marta Lonzi nel 1987 (“Berlin 1987. A missed confrontation”).
Il nome aveva ripreso a risuonare.
Da allora pian piano diverse ricercatrici (tutte donne!) hanno varcato la porta della Fondazione interessate all’archivio di Marta Lonzi: chi da Milano, chi da Roma, Bologna: ma la prima veniva dalla Turchia e le ultime dalla Francia e dalla Spagna…
L’archivio torna a vibrare.
RP